1899


La memoria delle nostre radici.
Ennio Pintacuda

Ricordare ciò ch'è avvenuto nella propria esistenza, riproporlo alla memoria, rimpastarlo in se stessi con tutto ciò che si vive istante per istante, farlo diventare pane vivo che nutre, sorregge, irrobustisce per affrontare le fatiche del cammino che dobbiamo percorrere giorno per giorno. Avere, sempre, il ricordo di tutto ciò che dal passato è confluito in ciascuno di noi, come l'acqua che si riversa da tariti rivoli e dalle sorgenti nel letto del fiume. Ricordare tutto il passato, quello spiacevole e niello esaltante ch'è sfociato nell'immenso lago della nostra esistenza. Ci sono nel nostro ieri e l'altro ieri: uomini e donne, oggetti, fatti, armonie e stridori. gioie e sofferenze, preghiere ed invocazioni; tante cose che sono divenute noi stessi non c'è nulla di più importante per gli alberi che crescono che poggiare, solidamente, sulle proprie radici. Se il legame con queste è saldo la bufera, le raffìche di vento, la pioggia si abbattono, ma gli alberi resistono e si irrobusti - scono di più. La grande calura non li essicca; il sole e la brezza penetrano nelle foglie, nel tronco, nei fruiti e li vitalizzano. Se le radici non reggono ogni cosa rischia di piegare ed abbattere le piante e gli alberi. Abbiamo bisogno di rendere memoria, sempre presente a noi stessi, le tradizioni storiche, il contesto umano e sociale nel quale siamo nati e cresciuti noi ed i nostri antenati. E' molto triste essere sradicati e non avere una famiglia di origine ed una cultura a cui fare riferimento. Moltissimi di noi, fortunatamente, hanno questo patrimonio ed una esperienza degli anziani ch'è divenuta sapienza e che ci sono stati tramandati. Abbiamo nelle nostre radici tutto ciò, e ci riteniamo privilegiati. Ma parecchi altri sarebbero fortunati se risvegliassero la loro memoria per recuperare ed utilizzare ciò che anch'essi hanno ricevuto. Bisogna amare ed identificarsi con le proprie radici per saperle valorizzare. Alcuni di noi le amano con forte intensità, gioiamo nel tuffarci in esse, torniamo, ad esempio, volentieri nei nostri paesi di origine. Riviviamo con gioia l'infanzia, la giovinezza, le feste religiose, le abitudini della civiltà contadina, la solidarietà del vicinato. Ci danno la stessa sicurezza del grembo materno il selciato delle strade, i balconi, le varie chiese con le statue dei santi, vari titoli della Madonna e le quindicine in suo onore, le novene di Natale ed i riti della Settimana Santa, la banda musicale e lo scampanìo gioioso o triste per annunziare che qualcuno è deceduto. 1 profondi rapporti umani, le contese, le liti, gli sparlamenti, e l'orgoglio di famiglia ci trasportano nel mondo solido della condivisione, della solidarietà e dell'essere insieme. Non si nasce, non si vive e non si muore da soli. Sara Favarò;, come me, come molti altri è una di quelle persone che hanno intensa memoria storica ed amano le proprie radici. Per questo ricorda e scrive di Francesco Favarò e delle altre esperienze. C'è la floridezza dei ricordi della sua vita, delle persone che lei ha amato e che hanno saputo rendere il quotidiano una esperienza generatrice di saggezza. I nostri paesi come Vicari, Prizzi, Alia, Lercara Friddi, Palazzo Adriano. Petralia e tutti gli altri sono state stupende comunità, nelle quali c'erano amicizia, grande laboriosità, durezza ed austerità di vita. Tutto era vissuto come donazione per la famiglia e per gli altri. Le condizioni economiche sono di gran lunga migliorate. Anche nei paesi oggi si vive con più agiatezza. Ma dove si lamentano disagi e devianze bisogna riconoscere che si deve al fatto di avere spezzato e deprezzato tariti valori ed abitudini. E' vero, molte cose appartengono, ormai, alla storia e non possono ripetersi più. Ma moltissimo è da riscoprire, riportarlo alla memoria è rivalutarlo. Dobbiamo, soprattutto, recuperare saggezza e solidarietà