Una storia
LE RAGAZZE DELLO ZEN


PREFAZIONE
di Maria Rita Parsi

Attraverso il racconto di un'esperienza personale, l'autrice ci conduce in una delle tante giungle della nostra amata Italia: lo Zen2 di Palermo, uno dei quartieri più a rischio della città. Lo Zen2 costi­tuisce, insieme allo Zen1, un unico quartiere, deno­minato Zen, appunto. Ma, a parte la loro comune storia di occupazione abusiva, essi sembrano divisi da una distanza sideralè. L'uno, lo Zen1, è una creatura rinnovata da intonachi colorati, da strade larghe e asfaltate: il rospo della nota fiaba, trasformato in principe dal bacio di un'eccellente ristrutturazione•e edilizia. L'altro, lo Zen2, è il quartiere Cenerentola, ostello di confinati, ancora in attesa di «na fata benevola che sembra non volere più arrivare. Ed è proprio di quest'ultimo che l'autrice ci parla. Non c'è intento didattico, moralistico o di denuncia sociale nella sua narrazione: solo il desi­derio di comunicare emozioni e sentimenti di chi si trova, per la prima volta forse, a contatto con una realtà affascinante e terribile nello stesso tempo, una realtà fatta di contrasti, di difficoltà ormai superate in altre città normali. Non c'è intento di denuncia sociale, dicevamo, perché l'autrice cono­sce bene limiti e rischi di stereotipi ormai datati: da siciliana doc, ha dovuto subirli in prima persona, li ha combattuti in prima persona, da sempre. Semmai, l'intento è quello di comunicare a chi non è siciliano, o anche a chi lo è, che non è semplice entrare in contatto con quelle realtà spesso definite sub urbane, non è facile porsi sul piedistallo della giustizia, dell'idealismo e dire a tutto il mondo: Le donne siciliane non hanno i baffi, non vivono blindate in casa, gli uomini non vanno in giro armati di lupara, Sicilia non è sempre "uguale" mafia. Non è facile perché, a volte, è tale l'accanimento degli stessi siciliani a quegli stereotipi, a quelle situazioni classicamente svantaggiate, a quei disagi, che chiunque venga con l'intento di un piccolo rinnovamento può essere visto con sospetto. Non è facile entrare in contatto con lo Zen, con la sua gente, con i bambini, ma una volta che ci sei riuscito, la sensazione che hai è quella di aver conquistato un tesoro grandissimo di energie e calore. Leggendo il libro, la prima immagine che mi è venuta in mente, è stata quella di una sorta di viag­gio, per certi versi reale, per altri metaforico. È un viaggio reale, perché l'azione materiale di incamminarsi verso il quartiere Zen2, la sua mirabile descri­zione, mi evoca proprio l'idea del viaggio, di uno spostamento che, per quanto minimo, ricorda il passaggio da un continente all'altro: si passa dallo scenario variopinto e moderno dello Zen1, ristrut­turato dopo una prima fondazione architettonica fatiscente, al grigio dello Zen2, paesaggio desolato di enormi casermoni senza tempo, costruiti con l'intento di confinarci chi in qualche modo strideva con la bellezza altera della città. Io credo che l'originalità dell'autrice stia nel messaggio che, tra le righe, essa ci invia: non è detto che il bello, il buono, si collochino necessariamente in una cornice di gra­devolezza e di splendore; non è forse ancora più prezioso ciò che è nascosto? Nel profondo di ogni Zen c'è l'oro e la ricchezza, c'è il tesoro. Il tesoro sono quei bambini che ti si stringono intorno e che non vorrebbero farti andare più via; il tesoro è nella conquista di cuori che, prima di donarsi a te, ti sot­topongono a mille esami; il tesoro è in quei germo­gli di piccole donne a cui senti di aver trasmesso un messaggio di cambiamento, di speranza. L'autrice entra in contatto con questo tesoro e Io scopre perché viene coinvolta dalle volontarie di un Centro Sociale, nato proprio nella parte più fatiscente dello Zen2, nell'organizzazione di una manifestazione per l'otto marzo. Il compito affidatole, preparare le bambine del quartiere alla realiz-zione di uno spettacolo canoro, le permetterà di vivere un'esperienza tanto arricchente quanto difficile da dimenticare. Ma, oltre a quello estremamente realistico, c'è anche un aspetto metaforico in quel viaggio verso la speranza: è il viaggio che l'autrice compie attraver­so i suoi ricordi, attraverso emozioni e sentimenti, quasi che ricercasse, com'è giusto ed utile, il suo Zen interiore. Ricordi, emozioni e sentimenti che coprono tutto l'arco di vita di un'autentica, valoro­sa, siciliana che, da giovane piena di ideali, ha lottato per ridipingere una cartolina dell'amata Sicilia che finalmente rispecchiasse la realtà, contro abusa­ti e logori stereotipi; che, oggi, da madre, sogna la rinascita, anche attraverso la testimonianza di que­sto suo libro, di una terra generosa che sia migliore per sua figlia, come per tutte le figlie, le sorelle, le madri di quartieri simili allo Zen; che sia simile alla terra per la quale si batterono uomini come Falcone e Borsellino. È un viaggio che convince, che coinvolge, che ispira il desiderio di intraprendere un viaggio simi­le, dentro di sé come fuori di sé. Non importa quale sia la sua destinazione. I posti bellissimi e nello stesso tempo terribili come lo Zen di Palermo sono tantissimi: dentro e fuori di noi. E lo Zen è metafora, soprattutto, della nostra capacità, possi­bilità, come esseri umani, di misurarci con l'ombra dei nostri disagi, paure, orrori, e con il patrimonio d'amore, di ricerca e di speranza, del nostro bambi­no interiore. Quel che importa all'autrice è, per­tanto, che ognuno di noi abbia dentro di sé la stes­sa energia, la stessa volontà di far germogliare un cambiamento. Un cambiamento che parta prima da dentro, dal cuore e dalla mente di ciascuno, e che poi, lentamente, entri nel cuore di tutti