IL CORAGGIO DELLE DONNE
Sara Favarò ha pazientemente scelto, raccolto e
raccontato le vite normali e speciali di tante donne: passioni, amori, rancori, vendette, odio, morte e persino resurrezione. Attraverso questi spaccati emerge intatta, e dotata di una forza prorompente, l'identità femminile più autentica, quella che non ha nulla a che fare con le madri, amanti e mogli stereotipate e finte degli spot pubblicitari. In questo libro la donna viene illuminata da una luce viva, potente, che mette in risalto la sua forza viscerale, la sua capacità di riscattarsi e di rompere gli schemi troppo stretti in cui è spesso intrappolata. Sono storie in perenne equilibrio tra dramma e speranza, tra luce e oscurità, storie di donne che solo ad altre donne possono essere raccontate, che solo altre donne possono capire fino in fondo.
Prefazione
di Giuseppe Lo Bianco
Palermo o Organetto e pupi siciliani scandiscono a Palermo la laurea di Anna, 110 e lode in decorazione, un passato di "pupara " da generazioni, un presente con La tonaca ed il velo: le sue inani esperte hanno divertito migliaia di bambini incollati davanti al sipario di cartapesta del Teatro Bradamante, ora va in Tanzania ad aiutare Cristo a portare la croce, dove miseria, fame e malattie la rendono più faticosa e pesante.
Curva a vegliare il corpo del figlio poliziotto massacrato dai proiettili esplosi da due killer in moto il 5 agosto 1989, Augusta esce dal tunnel lo stesso giorno di dodici anni dopo quando la ruota del destino cancella il lutto dal foglio del calendario che segna il 5 agosto trasformandolo in un giorno di vita: il giorno in cui nasce Nino, figlio di sua figlia, come il figlio poliziotto riverso in un lago di sangue dietro il cancello del villino di Villa-grazia di Carini. "Quel giorno", racconta, "ho rialzato gli occhi e ho riscoperto il cielo".
A Maria, invece, gli occhi e bastato aprirli sul lettino della camera mortuaria di un ospedale per leggere, già redatto e controfirmato dal medico, il suo certificato di morte. Con la serenità interiore di chi sa di avere compiuto un'esperienza unica e profondamente religiosa: "Mi trovavo in una galleria lunghissima", racconta, "dove in fondo potevo vedere un iridescente sbocco, più luminoso della stessa galleria pregna di luce. Anche se l'apertura era distante, io riuscivo ad identificare con estrema chiarezza le persone che parevano stare a guardia di quell'uscita".
Le mani di Maria Grazia, infine, che nella morgue di Buenos Aires cercano tra la segatura dell'impagliatura, prassi in uso negli ospedali argemtini, gli occhi del suo compagno ucciso da una fulminante setticemia: non li trovano e da stringere forte per tutta la notte resta solo la mano bianca e gelida, unica parte de/ corpo sfuggita all'imbottimento di paglia.
Storie di donne e di coraggio, due parole spesso in Sicilia indissolubilmente legate: ce le racconta Sara Favarò, fine poetessa, appassionata interpretere sentimenti più profondi di un popolo schivo e riservata come pochi. Lasciati a casa i versi in rima, appesa al chiodo temporaneamente la chitarra, dimenticate in soffitta la fantasia. l'estro poetico, la tonalità musicale, Sara Favarò, cantrice in versi dell'eterna vicenda umana scandita da odio e amore, si confronta con la realtà, brutale e cruda, che in Sicilia ha sempre superato ogni più fervida fantasia.
E dalla realtà, appesa in bilico tra tragedia e speranza, esce una nuova figura, direi quasi moderna, di donna siciliana, raccontata sempre in presa diretta, calata dentro storie cariche di dettagli che una danna può raccontare solo ad un'altra donna, e che Sara ha pazientemente raccolto, ordinato e scritto.
Passioni, vendente, perdoni, amore, odio, sangue, morte e per-sino una resurrezione, metafora della vitalità di una figura fem-minile forte e marcata che in Sicilia e stata la vestale in negativo di un familismo amorale culla di tante brutalità associative e che qui, invece, è illuminata dalla luce positiva del coraggio, del riscatto, della rottura a tutti i costi di schemi troppo stretti per ingabbiare l'energia di queste donne, eroine senza tempo. E la forza della loro identità segnata da ferite non rimargi-nabili arriva al cuore del lettore se confrontata con il modello femminile proposto oggi da marketing e televisione: una donna omologata buona per ogni identificazione, dalla seduzione tra-sgressiva alla rassicurante moglie-colf. In entrambi i casi alle donne è affidato il compito ideale di essere in qualche modo titolari e depositane della morale. Ma in televisione le immagini patinate restituiscono un'identità femminile buona per il mercato, una "donna massa", omologata e senza volto, declassata per diventare la donna di tutti, la donna per ogni tempo e ogni occasione, in ginocchio davanti alla pubblicità ed al mercato.
Le donne di Sara no. Non hanno tempo per i riflettori dei set degli spot. Nelle loro vene scorrono secoli di indignazione, i loro volti sono segnati dai so/chi del dolore, le loro storie sono cariche di dramma. E di speranza. Non a caso dalla palude del dolore e della disperazione l'urlo simbolo di queste donne è quello di Rosario. Un urlo risuonato forte e vincente, rotto dalle lacrime di do/ore e rabbia, trascinato dall'emozione sotto le volte della chiesa di San Domenico il giorno dei funerali di Giovanni Falcone, della moglie e dei tre agenti della scorta, l'urlo di Rosaria, sorretta da due sacerdoti eppure sola davanti al microfono, di fronte alla folla che gremiva il "tempio": "Mafiosi, vi perdono, ma dovete inginocchiarvi".