LINEA E PAROLA
Analizzando a fondo la produzione poetica di Sara Favarò, nella quale vanno inclusi di diritto i versi destinati alla "voce" del canto e ai tempi della musica, ci si accorge sempre di più, etnologicamente, quanto la stessa produzione sia espressione di una funzione culturale coerentemente legata, nel tempo, alla conoscenza sociale e alla sua interpretazione.
In ogni occasione in cui lei scriva o dica pensieri, la Favarò riflette la realtà e trasmette agli uomini idee e sentimenti sulla loro stessa vita, mediandone, con la poesia, gli eventi sia felici che funesti.
Generalmente - osserva Fabregat a questo proposito - nelle società umane i poeti costruiscono realtà che alternano la fantasia con la metafora, il simbolo con il segno, l'astrazione con il topico.
William Empson attribuiva, infatti, "sette tipi di ambiguità" al linguaggio poetico.
Ma là dove tali postulati divengono straordinario portato semantico che non raggela ma condensa icasticamente la "parola", è proprio nel componimento della Favarò. In esso il linguaggio tende a creare una comprensione profondamente umana della società che la circonda, fino ad elevare la vita della sua terra, la Sicilia, e la drammaticità che la caratterizza, a passione "verso" e per la vita stessa.
Si vuol dire, cioè, quanto etnologia e storia giochino un ruolo determinante nella sfera creativa della Favarò, la cui struttura poetica è un'intuizione intensiva che acquista la stupefacente capacità di permettere uno sdoppiamento infinito delle sue parti, dove ogni sdoppiamento è, per se stesso, una rappresentazione o la rappresentazione di una condizione umana, sia individuale che comunitaria, affidata spesso alla precarietà di un destino senza progetto.
Da questa prospettiva, la nozione poetica dei temi umani che la Favarò ci fornisce, è una rivelazione di spazi più complessi di significazione: essi denotano una variabile del pensiero su ciò che esiste, e in se stesso il poeta esiste per pensare la parola e per esplorare i sentimenti vissuti in un determinato momento delle sue combinazioni.
Quella del linguaggio, per esempio, che in questo caso supera tracciati e paradigmi usuali, per rifarsi all'evento di una parola, e quindi di una scrittura, annodate, correlate e cresciute alla storia della propria cultura, alla lingua della sua trasmissione. Cioè il dialetto siciliano nel quale nasce e si sviluppa l'attitudine della Favarò a concepire e a comuniccare poesia; di comunicare attraverso tale strumento, senza che ciò comporti la rinunzia dell'italiano, di cui peraltro la stessa Favarò si serve, in quanto per lei il dialetto ha la capacità di rispondere alle ragioni della coscienza, ma anche alla scommessa di essere innanzitutto lingua, e lingua del presente.
Una poesia dialettale, quindi, che non vuole esaurirsi nella nostalgia di un tempo passato, per costituirsi spesso in bozzetto folklo-rico, ma che reclama invece una coscienza di base capace di divenire scelta etica, religiosa, politica, utile per comprendere e giudicare la contemporaneità.
E oltre la nostalgia va infatti la poesia di Sara Favarò per restare autentica e possedere così la forza di produrre futuro.
Già nelle pregevoli raccolte di poesie e canti siciliani contenuti nelle due edizioni di "Chista sugnu!", tale assunto emergeva in tutto il suo spessore letterario ed umano, e dove una carica di immediatezza comunicativa essiccava inoltre l'apparire di ogni orpello morfologico, per perrmettere al verso di drenare in tempo le sue irruenze fonetiche, l'enfatizzazione delle immagini che il verso medesimo tendeva ad evocare.
Ciò continua ad accadere con crescente e consapevole accortezza nel susseguirsi della produzione poetica della Favarò, la cui ampiezza tematica spazia nelle aree più fertili dei sentimenti, delle passioni, delle vicende o vicissitudini umane, in cui emergono quasi sempre - a sostegno delle stesse tematiche - tre livelli ideali di continguità: quello individuale, quello sociale e quello ideologico.
Il livello individuale perché la Favarò ha capito quanto l'individuo cui è diretta la sua poesia dialettale, sia fortemente dipendente da tale linguaggio nel processo di informazione e di conoscenza che esso determina.
Il livello sociale perché il dialetto può e deve essere ancora uno strumento che i membri delle nostre comunità devono usare per comunicare.
Il livello ideologico, infine, perché l'insieme di informazioni fornito dalla poesia della Favarò aiuta a scoprire e capire l'insieme delle idee, dei fatti della vita, degli eventi della storia prodotti dall'uomo: aiuta a capire, cioè, l'ideologia degli esseri umani impegnati a vivere e a comunicare la natura degli stessi eventi.
Così, in questa sede prevale la "voce" o il "canto" dei versi, le cui tensioni umorali sono rivolte al paesaggio umano, variegato e sofferto, entro cui pulsano significati e senso di una terra, la Sicilia della Favarò vissuta dal di dentro, nella totalità delle sue vibrazioni umane e civili, con dolore ed orgoglio.
La libertà, la giustizia, l'emigrazione, la droga, l'amore costituiscono in tal modo i temi ricorrenti nei versi musicati dal fratello Giovanni, e portati in giro dal Gruppo Musicale "Sikelia", sui ritmi frenetici ed incalzati del Rock, ma qualche volta condotti anche su efficaci tonalità del "Folk-music" americano, del "contry blues" spesso deciso negli angoli taglienti, nelle immagini in cui le apparenti
asprezze dialettoffoniche si rivelano subito struggenti ed incisive assonanze vernacolari.
Non si tratta in questo caso di interferenze o di contaminazioni, ma di esigenze; culturali attraverso cui si evolve il lavoro, sia poetico che musicale della Favarò che del dialetto riesce a fare un'epres-sione linguistica in grado di stare nel presente e di produrre futuro, appunto. In grado, cioè, di frantumare schemi superati e di guardare ai valori della tradizione popolare con occhi diversi, affinchè la tradizione - come sostengono Eric Hobsbawm e Terence Ranger - sia suscettibile di feconda invenzione.
In questo senso vanno considerate le riproduzione grafiche di Piero Favarò contenute nella presente raccolta. Esse non sono né vogliono essere "illustrazioni" dei componimenti di Sara, ma probabili accostamenti "otticamente" resi quali intrecci o sviluppi percettivi votati ai flussi emotivi della scrittura poetica.
Così, non sermpre il segno grafico di Piero rincorre o si sottopone alla determinazzione del gesto che lo esprime o della parola poetica che lo sottende, stabilendo un reciproco rapporto di intesa rispetto ai significati della propria rappresentazione.
Spesso lo stesso segno grafico - seguendo soltanto concettualmente lo snodarsi frenetico del verso - si da come sensazione e flusso di un pensiero nascosto e spontaneo destinato a rintracciare transiti di stati d'animo, confluenze imprecisate di emozioni o di dettati istintivi che intrecciano sulla superficie del foglio, e su alcune di queste pagine, rafffigurazioni verosimili, oppure trame e costruzioni segniche suscettibili di somiglianze e analogie potenziali con i contenuti del libro.
Gli inchiostri di Piero tessono così, sulla carta, trame e grovigli di linee, fughe e raccordi nella mobilità spontanea di un linguaggio grafico agito in questo caso tra presenza e assenza, all'insegna o all'inseguimento del ritmo musicale cui si presta, con forte attitudine, il verso della poesia, lo spessore duttile e pregnante della "parola" dialettale.
Così, Sara Favarò contribuisce per la sua parte, con originali e intelligenti apporti, ad "allargare l'area del consenso nei confronti della poesia dialettale siciliana, facendola conoscere dove non è conosciuta...", giacché "è essa stessa soggetto di cultura e destinataria di risorse", come sostiene Salvatore Di Marco che della poesia siciliana è un ottimo autore e un acuto studioso.